Successo e fallimento: un punto di vista olistico, l’energia dei Nat
di Luca Giorgetti e Serena Sasi
Si sente molto parlare di successo e fallimento. Del resto, sono categorie ben presenti nelle nostre vite, fin dai tempi di “Adamo ed Eva”. Da quando cioè gli uomini colsero il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male e si distaccarono dall’albero della vita del Paradiso Terrestre. Iniziarono così la divisione, in buoni e cattivi, colpevoli e gli innocenti, Caino e Abele, gli uomini e le donne di successo e i falliti.
Il percorso olistico, che in questi anni sta ritrovando un proprio spazio nelle vite delle persone, dopo le abbuffate consumistiche e materialistiche degli ultimi decenni, almeno dalle nostre parti, è già un esempio di questa dinamica che viaggia in senso “ostinato e contrario” (ma non necessariamente faticoso) rispetto all’apparenza. Il percorso olistico, il cui fine è ricercare e trovare noi stessi nella dimensione del tutto, nelle persone che ci circondano e nella natura, è proprio un buon frutto della “crisi” del nostro tempo.
Tramite il percorso olistico, vivendo noi stessi, anche con le nostre ansie, le nostre paure, i nostri drammi piccoli e grandi, ma anche ovviamente con i nostri piccoli e grandi successi. Percorrendoli e vivendoli fino in fondo, traendone il giusto insegnamento, possiamo affermare il nostro vero successo. Un successo che magari non ci porterà sulle copertine di “Time” o di “Chi”, o forse sì, anche se probabilmente solo sulle copie rielaborate scherzosamente da qualcuno dei nostri amici. Permettendoci una risata e facendoci sentire considerati all’interno di un gruppo.
Una vecchia storiella cinese parla del figlio di un contadino che, prima di un torneo, cade da cavallo e si rompe una gamba. “Che sfortuna!” dissero in molti. “Vedremo!” rispose il saggio del paese. Dopo pochi giorni scoppia la guerra e il figlio del contadino non è richiamato perché ha la gamba rotta. “Che fortuna!” dicono in molti. “Vedremo” fa eco il saggio. E la storia prosegue di evento in evento, così come le nostre vite, in un alternarsi di eventi “fortunati” e “non”.
Successo è quando seguiamo veramente la nostra direzione. Quando attiviamo la nostra bussola interna tanto da “sentire con la nostra vita” quale è il nostro reale elemento. Il nostro speciale dono da regalare al mondo. Questo implica un cambiamento di prospettiva enorme, dal bisogno di raggiungere un “ qualcosa “ al voler creare valore per noi e per gli altri. In una società che tende a schiacciare l’altro per realizzare i propri desideri è compito di chi sta facendo una vera rivoluzione interiore dedicarsi a trasmettere speranza.
E’ anche il messaggio di vita che tante filosofie e pratiche moderne e antiche ci insegnano. In particolare con Serena, da qualche tempo, e per strade diverse (ma probabilmente non casuali), siamo entrati in contatto con l’energia dei “Nat”. Gli spiriti naturali dell’antica tradizione animistica birmana. Successivamente sistematizzati e catalogati intorno all’anno 1000 nel momento in cui il buddismo prese campo in quei luoghi. Da pochi anni portati nel mondo occidentale, come strumento di supporto alle proprie decisioni e situazioni di vita.
Questi personaggi mitologici, veri e propri “archetipi”, si abbinano poi anche ai nostri antenati e/o familiari, per convogliare messaggi e indicazioni ben precisi, fino a formare un vero e proprio “viaggio interiore” nella propria eredità familiare, i propri punti di forza e i propri limiti e ostacoli. In questo senso, tutto assume un ruolo relativo, il “bene” e il “male” perdono una connotazione assoluta e diventano comunque strumenti di crescita personale.
Rinnoviamo quindi il nostro intento di metterci a disposizione della comunità. Per condividere le nostre esperienze e conoscenze. In un territorio socialmente frammentato, che purtroppo conosce quotidianamente situazioni di povertà, solitudine e disperazione. Situazioni che non sempre riescono a trovare conforto nelle pur presenti istituzioni e strutture sociali e familiari, e che a volte sfociano anche in eventi estremi.
Perché il vero fallimento non è quando le cose non riescono, ma quando non si prova neanche a farle. Per paura o per scoraggiamento, e perché, come dice il Dalai Lama “È più facile meditare che fare effettivamente qualcosa per gli altri. Limitarsi a meditare sulla compassione equivale a optare per l’opzione passiva. La nostra meditazione dovrebbe creare la base per l’azione, per cogliere l’opportunità di fare qualcosa”.
Dio benedica l’ansia
il profondo senso di inadeguatezza
la timidezza
i miei guasti nucleari>
l’incapacità di capire
la voglia di fare le cose insieme agli altri
il bisogno profondo d’amore
il bisogno viscerale di giocare>
la voglia di scoperte,
la curiosità morbosa
i miei folti dubbi su tutto,
la fame di bellezza e poesia,
l’incapacità di prevedere la catastrofe
una incrollabile nostalgia dell’universo
l’attitudine al fallimento
l’incapacità di resistere alle tentazioni,
la paura e la voglia del vuoto read more